La verifica della frequenza di rimbalzo di un sito è sempre molto importante per ottimizzare i diversi processi relativi alla navigazione interna. Nota anche con il nome di bounce rate, la frequenza di rimbalzo corrisponde alla quantità di utenti che abbandonano una pagina di un sito senza interessarsi delle altre. Il rimbalzo, infatti, corrisponde alla sessione di una pagina sola, in virtù della quale viene attivata una sola richiesta.
Non bisogna pensare, comunque, che una elevata frequenza di rimbalzo sia sempre un segnale negativo per il sito. Scopriamo di più.
Cos’è la frequenza di rimbalzo in un sito
Nello specifico, tale valore serve per capire quante sessioni, una volta giunte sul sito, si limitano a visitare una pagina sola: il bounce rate non tiene conto del tempo in cui si rimane sulla stessa pagina.
Questo vuol dire che, ai fini della misurazione della frequenza di rimbalzo, un utente che rimane sulla stessa pagina di un sito per dieci secondi e poi lo abbandona vale come un utente che rimane sulla stessa pagina di un sito per un quarto d’ora. La percentuale viene calcolata da Google Analytics ma può essere misurata anche da ShinyStat o da altri sistemi di statistiche.
Come si calcola il bounce rate di un sito?
Come si effettua il calcolo della frequenza di rimbalzo? Si tratta di identificare il rapporto tra le cosiddette visite di rimbalzo (cioè le sessioni di una sola pagina) per la totalità delle sessioni. Per esempio, se l’home page di un sito in un giorno ottiene 200 visite, ma in 100 casi il sito viene abbandonato senza che vengano guardate altre pagine, si ha a che fare con un bounce rate pari al 50 per cento.
Il bounce rate – sia chiaro – non deve essere confuso con l’exit rate: quest’ultimo equivale alla percentuale di uscita, cioè alla fetta di visite che terminano sulla pagina presa in esame, mentre il tasso di rimbalzo corrisponde alla percentuale di visitatori che cominciano l’esperienza sul sito e la concludono sempre sulla stessa pagina.
Non farti spaventare da una frequenza di rimbalzo elevata
Come si è accennato, una frequenza di rimbalzo elevata non è sempre sinonimo di cattive prestazioni: tutto dipende dal tipo di sito web e dagli obiettivi che ci si propone di raggiungere. Per esempio, se un utente è abituato a visitare un sito tutti i giorni, quando vede che in home page non ci sono novità rispetto al giorno precedente non ha motivo di cliccare sulle altre pagine. In altri casi, può accadere che la pagina visitata sia così esaustiva da soddisfare tutti i dubbi e non richiedere ulteriori approfondimenti.
Questo vuol dire che l’analisi della frequenza di rimbalzo non è utile? No, ma semplicemente che tale dato deve essere incrociato con altri, tra i quali il pageview per visit e il tempo di permanenza. Non è vero, come si legge di frequente, che un bounce rate positivo non deve superare il 70 per cento, anche perché ci sono metriche diverse con valori differenti.
La frequenza di rimbalzo può essere presa in considerazione, per esempio, non solo per una pagina specifica, ma anche per un gruppo di pagine o addirittura per un sito intero (che sia ecommerce o meno).
La strategia SEO
Sicuramente fare un buon lavoro preliminare sui contenuti del sito (intesi come testi ottimizzati SEO) unito ad un’ottima ottimizzazione iniziale per i motori di ricerca, può contribuire a mantenere la percentuale di bounce rate ad un livello fisiologico, rispetto al tipo di sito per la quale stiamo svolgendo la SEO audit.
Qualora il sito abbia già uno storico (ovvero sia online da qualche anno) ed il bounce rate sia troppo elevato, si andranno a valutare non solo la qualità dei contenuti, ma anche i percorsi di navigazione del sito, le performance delle pagine che lo compongono e più in generale la user experience.